“E la mia banda suona il rock per chi l’ha visto e per chi non c’era e per chi quel giorno lì inseguiva una sua chimera”. Le parole di Ivano Fossati e della sua famosissima canzone calzano a pennello per descrivere la situazione che s’è verificata ieri allo stadio Olimpico. C’erano seimila cuori granata, alcuni dei quali costretti ad entrare in ritardo per gli scrupolosi controlli delle forze dell’ordine, alcuni fatti oggetto di aggressione da parte di tifosi laziali, ma alla fine la curva granata ha vinto la sua partita, cantando per novanta minuti, facendo sentire la sua voce e la sua presenza, quasi ignorata per motivi misteriosi dalle telecamere che hanno ripreso la partita. Hanno cantato per chi li ha voluti sentire o meno, per chi c’era e chi non c’era o, almeno, non s’è fatto vedere. Claudio Lotito, Marco Mezzaroma, Ugo Marchetti, Angelo Fabiani rappresentano il passato ed il presente della Salernitana. Il primo ora può occuparsi solo della Lazio, il secondo non ha più un coinvolgimento diretto nel calcio, gli altri due sono stati posti a guardia del trust in cui la Salernitana è stata imbrigliata, ma sanno bene che è solo una questione di tempo e poi saranno anch’essi il passato. Lo dicono i patti sottoscritti col trust, lo impone la decenza, la soglia di dignità e pudore che è già stata troppe volte oltrepassata, ma che stavolta non può essere violata come se niente fosse. Ed anche se la contestazione nei confronti di Lotito compatta il mondo del tifo granata più di quanto ancora faccia quella a chi oggi regge e decide le sorti del club, è opinione diffusa e basata sul buonsenso che il cambiamento non dovrà avere eccezioni. La partita di ieri è andata come sulla carta si poteva immaginare che andasse. Lazio superiore, Salernitana colpita al primo errore difensivo che l’ha scioccata al punto che subito dopo ne è seguito un altro. Due gol regalati, mentre le piccole Spezia e Venezia strappavano tre punti a Torino e Roma, due squadre che ai granata ne hanno rifilate quattro a testa. Eppure, anche ieri, la Salernitana intesa come pubblico e gruppo squadra non ha perso. I tifosi sugli spalti, i calciatori in campo: gli uni e gli altri hanno fatto quanto in loro potere sotto gli occhi dell’ex patron che ieri aveva l’aria del padrone adirato con i suoi antichi fattori al punto da godere delle loro sventure. Certo, da Simy ci si attende molto di più e chi lo ha ingaggiato, caricando sulle spalle della futura proprietà un esoso riscatto, dovrà dare spiegazioni del perché il nigeriano sia diventato un brutto anatroccolo. Certo, fa specie vedere il trentottenne Ribery sbuffare, rinculare, ripartire, scuotere i compagni e, non a caso, appena è entrato Djuric, un altro che, come il francese, ha personalità e tempra da combattente, la squadra granata abbia messo paura alla difesa laziale. Ieri la Salernitana ha perso, ma ad uscire sconfitti dal confronto con l’ex casa madre sono stati altri. Lotito, da una parte, l’attuale reggenza granata dall’altra: sono loro i grandi sconfitti, è tutta loro la vergogna dell’attuale situazione di classifica e societaria della Salernitana che ha un popolo che mostra il cuore, muscolo per definizione involontario che batte e continua a sperare. Ci vorrà, però, anche la testa per analizzare bene i motivi ed i fatti che hanno determinato questo “vulnus” all’onore della Salernitana ed alla credibilità dell’intero sistema calcistico nazionale. Alla partita di ieri pomeriggio non sarebbe dovuto mancare il presidente federale, Gabriele Gravina, grande notaio del trust a cui ora più che mai si chiede di vigilare e di non voltarsi dall’altra parte in nome di interessi e compromessi. La battaglia contro Lotito è stata persa o, quanto meno, s’è risolta in pareggio con la classica mediazione all’italiana. Ora, però, c’è la dignità di una città da tutelare.
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