Sono state le “gravi carenze probatorie” e un evidente “scarso quadro probatorio” ad indurre “necessariamente” il Pubblico Ministero Russo a chiedere l’assoluzione di tutti gli imputati del processo Chernobyl. Emergono nuovi clamorosi dettagli relativi all’ultima udienza del processo, svoltasi presso il Tribunale di Salerno lo scorso 14 febbraio. Il procedimento giudiziario ha visto 38 persone (delle quali una deceduta) imputate a vario titolo per lo smaltimento illegale dei rifiuti che ha coinvolto anche terreni del Vallo di Diano. Un epilogo che non manca di suscitare perplessità, per una vicenda che aveva causato sconcerto e preoccupazione nell’opinione pubblica, e la cui chiusura delle indagini risale a ben 11 anni fa. Poi un lunghissimo stillicidio, mentre nel corso degli anni sono caduti in prescrizione tutti i reati contestati ai 38 imputati, tranne quello di disastro ambientale.
Il PM Russo nell’ultima udienza ha precisato che proprio relativamente al reato di disastro ambientale “manca la prova di una modifica sostanziale dell’originaria consistenza della matrice ambientale o dell’ecosistema”. Insomma manca agli atti la prova del disastro ambientale, visto che i fanghi sversati, ritenuti di natura speciali-non pericolosi, non avrebbero prodotto alcuna conseguenza ai fondi. Secondo il PM Russo dunque non risulta agli atti del procedimento alcuna compromissione o deterioramento dei fondi stessi, che quindi non risultano alterati da tali sversamenti. “In assenza di alcuna prova sul deterioramento, inteso come squilibrio strutturale, e in assenza di un decadimento dello stato e dei luoghi, si deve necessariamente concludere -ha precisato il PM- per l’insussistenza del reato”. Di qui la richiesta di assoluzione di tutti gli imputati dal reato di disastro ambientale “perché il fatto non sussiste”, oltre a quella scontata di prescrizione per tutti gli altri reati.
Di fronte a questa svolta processuale, appare quantomeno paradossale la richiesta avanzata dal PM a fine requisitoria, che ha chiesto al Tribunale la trasmissione degli atti ai singoli Comuni, nel cui comprensorio sono situati i fondi interessati dagli sversamenti. I Comuni dovrebbero procedere alle verifiche sui fondi di loro competenza, al di là della responsabilità penale degli imputati, effettuando carotaggi al fine di appurare se tali fondi siano stati, e siano tuttora, inquinati e oggetto di squilibrio ambientali. Tutto ciò al fine -in caso di risposta affermativa- di indurli autonomamente a procedere a eventuali bonifiche e risanamenti.
Al termine dell’udienza hanno rassegnato le loro conclusioni scritte pochissime parti civili, tra le quali la Comunità Montana Vallo di Diano, il Comune di S. Arsenio, il Comune di S. Rufo e il Comune di S. Pietro al Tanagro, tutti rappresentati dall’avvocato Nicola Senatore, il Comune di Sassano, rappresentato dall’avvocato Alfonso Penna, e il Comune di Sala Consilina, con l’avvocato Antonello Rivellese. “Come parti civili ci siamo opposte –conferma l’avvocato Nicola Senatore- alle richieste del PM e alla chiusura dell’istruttoria dibattimentale. Abbiamo insistito affinché il Tribunale disponesse una consulenza d’ufficio sui fondi interessati, al fine di appurare la compromissione, il deterioramento e lo squilibrio funzionale dell’ecosistema, causato dallo sversamento dei fanghi tossici. Una posizione dura, che conferma la nostra ferma volontà di conoscere la verità dei fatti e cosa sia effettivamente accaduto”.
Va ricordato che in origine risultavano costituite, a vario titolo, una trentina di parti civili, e che la mancata presentazione di conclusioni scritte comporta la rinuncia alla costituzione di parte civile, con la conseguente esclusione processuale dal procedimento della parte civile ammessa. I difensori degli imputati hanno tutti chiesto l’assoluzione dei loro assistiti perché “il fatto non sussiste”. La sentenza è prevista per il prossimo 7 marzo.