Angelo Gregucci ricomincia da tre. A Salerno il trainer pugliese è oramai di casa. Due esperienze sulla panchina granata gli hanno consentito di entrare in sintonia con l’ambiente e di lasciare un segno sicuramente dal punto di vista umano. La sua prima volta, quando era un tecnico giovane ed affamato, centrò una salvezza sofferta in una notte da ricordare. Contro l’Ascoli l’Arechi era pieno di gente e di passione, quella che Gregucci provò a riaccendere anche nella sua seconda esperienza in granata in cui apparve più maturo e meno impulsivo, ma non riuscì a riscaldare l’ambiente neanche con la vittoria della prima Coppa Italia di Lega Pro della storia della Salernitana. Gli anni passano, le persone cambiano, si evolvono, maturano. Gregucci oggi è un allenatore che ha acquisito un vasto patrimonio di conoscenze, ma che deve anche fare i conti con l’assenza dalla serie B che dura dal 2012. Dopo le esperienze di Caserta ed Alessandria in terza serie, Gregucci ha optato per il ritorno nello staff dell’amico Roberto Mancini, scegliendo un ruolo diverso perchè un conto è lavorare insieme ad un allenatore capo ed un altro è agire, scegliere, muoversi da soli o, comunque, in prima persona, avendo la responsabilità di gestire un gruppo e di garantire risultati ad una proprietà e ad una piazza che spinge. Gregucci ha dalla sua doti indubbie di gestore, perchè, nonostante gli anni che passano, resta un formidabile uomo spogliatoio, capace di appianare contrasti e divergenze, di unire laddove, eventualmente, ci siano divisioni. Salerno chiede da tempo una sterzata, una svolta, un cambio di prospettiva, ma si ritrova puntualmente delusa ed al punto di partenza perchè da anni si cambia tanto, a volte tutto, al solo fine di non far cambiare nulla. Mai come in questi giorni la tifoseria si è divisa sulla questione allenatore che è diventata anche il pretesto per mettere sul tavolo la questione relativa alla posizione del direttore sportivo, Angelo Fabiani. Sarebbe bello se il ds granata spiegasse una buona volta perchè mai da anni a Salerno gli allenatori cadono come le foglie in autunno, vivendo tutti la stessa parabola che li vede partire carichi e motivati e poi inesorabilmente ingiallirsi, fino a sbiadire, perdendo lucidità, mordente, fino a farsi sfuggire di mano la situazione. Possibile che siano tutti così scarsi? Se sì, allora chi li sceglie in estate, va da sé, ha grosse responsabilità. Invece, al di là di pregi e difetti di ciascuno, pare più ragionevole pensare che gli allenatori scelti in estate siano come delle vittime designate, sedute su una panchina ad orologeria, con una specie di timer programmato per i primi freddi, come se guidare la Salernitana per una intera stagione fosse una missione impossibile, più pesante e sfibrante delle mitologiche fatiche di Ercole. Ed è questo, che è sotto gli occhi di tutti coloro che non girano volontariamente la faccia dall’altra parte, che non ripetono come un mantra ormai sfiatato le parole di un ritornello ormai fuori tempo, che dovrebbe far riflettere e che è alla base di tutto ciò che la parte più numerosa della tifoseria vorrebbe capire per poter davvero sentirsi coinvolta. Se vorranno, i patron potranno interrogarsi sulle ragioni di questi ormai innumerevoli avvicendamenti in panchina e, magari, una volta per tutte smetteranno di ridurre il tutto al numero delle presenze allo stadio. Se Lotito e Mezzaroma vogliono rivedere l’Arechi pieno davvero, se vogliono vivere l’emozione di uno stadio che trascina la propria squadra alla vittoria come fu in quel Salernitana- Ascoli con Gregucci in panca, dovranno, sempre se sia loro premura ed intenzione, restituire alla gente la voglia di credere che non ci sia un copione scontato.
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