Ieri, Claudio Lotito ha compiuto 62 anni, il prossimo 19 giugno per la Salernitana saranno 100 e tutti sperano che la festa della gente che da sempre ama la squadra granata, a prescindere dalle alterne fortune sportive, non venga rovinata dall’esito del campionato che domani vivrà la sua ultima giornata. Alla vigilia di una partita così importante, quale quella che si giocherà domani a Pescara, la storia viene in soccorso dei granata. Il 10 maggio 1998 Salerno festeggiava con grande compostezza l’approdo della Salernitana allenata da Delio Rossi in massima serie. Una festa senza eccessi per rispetto alle vittime dell’alluvione di Sarno e Bracigliano. Ventuno anni dopo, Salerno non dimentica i due eventi che si susseguirono in pochi giorni e che hanno, per motivi diversi, un posto speciale nella storia della città e di quella provincia colpevolmente trascurata dall’attuale proprietà e che da sempre è un serbatoio di passione e d’amore per la maglia granata. Le tensioni ed i veleni che da troppo tempo si respirano in città non intaccano la memoria ed il sentimento di chi vive distante e resta vergine rispetto a tutto quello che di brutto, anche marcio se si vuole, da troppo tempo avvolge la cosa granata in un accavallarsi di accuse, beghe personali, questioni di vario genere che hanno dilaniato un ambiente che avrebbe bisogno di rigenerarsi respirando l’aria salubre delle montagne che incorniciano le due coste, cilentana ed amalfitana, che stringono in una sorta di abbraccio ideale Salerno e quella squadra che, nonostante tutto, da cent’anni fa palpitare il cuore di un territorio che non ha mai conosciuto glorie durature, ma che con orgoglio e dignità ha rivendicato sempre e comunque un senso di appartenenza, un legame fortificatosi nelle sconfitte più che nelle vittorie con la sua squadra. Perchè la Salernitana è della gente che la ama, non di Aliberti, Casillo, Lotito o Mezzaroma, men che mai di chi ne ha fatto un centro di potere e che l’ha come sporcata nel bieco tentativo di privatizzare una entità astratta ma tremendamente concreta, al tempo stesso, allontanandola dalla gente, quasi nascondendola e sottraendola al contatto genuino e ad un rapporto passionale e trasparente con il mondo esterno. La storia ora più che mai fa sentire il peso della memoria, la massa voluminosa e calda di ricordi indelebili, e chiede a chi adesso guida e rappresenta la Salernitana di non sottrarsi al suo dovere e di centrare una missione che non ha il potere evocativo di quella promozione del ’98, ma ha un considerevole ed innegabile valore sportivo, emozionale, simbolico perchè il 2019 non poteva essere – e lo si è riconosciuto a tutti i livelli e da tutti i pulpiti – un anno come un altro e, dunque, a maggior ragione non può riservare una delusione sportiva sotto forma di un fallimento tecnico che non troverebbe paragoni nella storia granata, pur caratterizzata da momenti difficili. Ora la storia offre una grande opportunità a Leonardo Menichini, una sorta di Cincinnato dell’epoca romana, che ha lasciato la quiete di Ronciglione per rispondere alla chiamata dell’Imperatore Claudio, che gli ha dato pieni poteri pur di salvare in extremis la stagione. Una partita per aggiustare le cose, per lasciarsi alle spalle la grande paura, per non dover maledire i troppi errori commessi durante la stagione e per poterli, a bocce ferme, usare solo come materia di analisi, prove, anche schiaccianti, per ancorare chi ha sbagliato alle sue responsabilità e cambiare tutto, una volta e per sempre. Perché è la storia che lo chiede.
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