E’ un clima avvelenato e non da ora quello che si respira nell’ambiente salernitano. Da troppo tempo si registrano tensioni, frizioni, incomprensioni che la proprietà romana del club avrebbe dovuto sentire il bisogno ed il dovere di stemperare e diradare prendendosi semplicemente la briga di rendersi disponibile per un confronto pubblico in città. I patron hanno preferito battere altre strade, tutte o quasi rivelatesi senza uscita, vicoli ciechi dai quali è stato finora impossibile tirarsi fuori. Il dialogo con la città è mancato e, forse, è mancata la volontà di stabilire un rapporto più aperto e franco in questi mesi nei quali la proprietà si è progressivamente rintanata in una sorta di isolamento dorato, voluto e cercato, dando sempre meno spiegazioni del suo agire. Da mesi e non certo da un giorno c’è distacco ed indifferenza da parte dell’ambiente nei confronti della squadra e non perchè sia venuto meno l’amore, ma perchè la passione ha bisogno di essere alimentata cosa che da tempo non accade. Si possono sbagliare le scelte in merito ai calciatori o agli allenatori, ma non si può dare all’esterno la sensazione di non credere in ciò che si fa, di non avere un obiettivo, un’idea guida, un fine ultimo a cui tendere perchè la gente vede e comprende ed è disposta a perdonare gli errori ma non i peccati di omissione. La Salernitana ha approcciato senza avere le idee chiare la stagione del Centenario, restando a metà del guado sotto tutti i punti di vista. Programmazione tecnica e preparativi per il 19 giugno 2019 sono rimasti in una sorta di limbo, ma non si è mai fatto il passo decisivo per un salto di qualità complessivo. La proprietà non ha compreso per tempo gli effetti di questa situazione, aprendo gli occhi tardivamente solo quando la diserzione silenziosa, cominciata lo scorso autunno, è sfociata in qualcosa di più eclatante a marzo scorso. E nemmeno allora Lotito e Mezzaroma hanno compreso la necessità di prendere in mano le redini della situazione, ricomparendo con più costanza e convinzione sulla scena salernitana. Proprietà distante, staff dirigenziale intento a coltivare solo pochi rapporti, squadra chiusa in un isolamento logorante, tifoseria disorientata e spaccata. In questo quadro non certo idilliaco, dopo una chiusura sconcertante ed indecorosa della stagione regolare, non ha certo migliorato le cose il deprecabile episodio di sabato scorso con Alessandro Micai fatto oggetto di insulti e, a quanto asserito dal portiere granata e dalla stessa società, anche di un pugno in pieno volto da parte di una persona che sarebbe stata anche identificata. La contestazione civile, anche se forte, è un conto, la violenza un altro paio di maniche e va sempre fermamente condannata. Un episodio isolato non può screditare una tifoseria intera, che vive un momento di delusione e frustrazione, ed è spia di una tensione che per troppo tempo è stata ignorata. Oggi sono esattamente 29 anni dalla promozione in B targata Soglia ed Ansaloni, firmata dal compianto Agostino Di Bartolomei e che fu occasione di festa vera, genuina, spontanea per tutta la città e la sua provincia. A pochi giorni dai cento anni di vita, il contrasto tra quel 3 giugno ’90 ed il momento attuale è impietoso. Salerno ha bisogno di una nuova scintilla, di un vero cambiamento e di un azzeramento di posizioni da tempo consolidate e di rapporti ormai viziati per ritrovare stimoli ed entusiasmo. In buona sostanza c’è bisogno di un modo di fare calcio più vicino alla gente, che metta al centro di tutto un obiettivo: rendere i tifosi felici ed orgogliosi e non solo vederli come clienti a cui promettere la luna.
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