In Laguna è diventato un appuntamento col destino per la Salernitana, abituata a specchiarsi nelle acque della Serenissima per scorgere dettagli di sé ancora non conosciuti e per capire cosa aspettarsi dal futuro. Lo scorso anno i granata di Colantuono persero di misura in campionato contro l’uomo ragno, Zenga, pagando a caro prezzo un’incertezza di Micai. Proprio al Penzo, però, la squadra poi passata sotto la guida di Menichini dopo la parentesi Gregucci si salvò ai rigori contro i lagunari di Cosmi. Da quella domenica caldissima di giugno, che sarà ricordata per l’acqua e zucchero somministrata da Lotito a Micai, poi decisivo nella lotteria dei rigori, è passata tanta acqua sotto i ponti. Tanta ancora, però, dovrà scorrere sotto la nave granata per portare a compimento una sorta di rivoluzione del pensiero e del modo di lavorare portata avanti da uno che in Laguna ha allenato: Gian Piero Ventura era reduce da una stagione in C col Giarre e da un anno di apprendistato a Venezia, quando Zamparini gli affidò il compito di allenare la squadra in cadetteria prima di esonerarlo dopo nove giornate. Era la stagione ’94- ’95, quella in cui la Salernitana di Delio Rossi si affacciava alla ribalta cadetta, cullando fino all’ultimo il sogno della promozione in massima serie. Questa Salernitana targata Ventura non è una matricola in B, ma è come se lo fosse perchè per la prima volta dopo quattro anonimi campionati tra i cadetti ha puntato con decisione su un allenatore in grado di dare una sua impronta ed una direzione da seguire ad un gruppo rinnovato e ringiovanito. Sembra quasi che la Salernitana si sia immersa nelle acque della Laguna quel famoso giorno di giugno per poi rinascere a vita nuova, purificata da scorie e tossine, affrancata da vecchie logiche del passato, anche se tanto ancora bisogna fare per eliminare gli aspetti deteriori e negativi. Le rivoluzioni più profonde, però, hanno bisogno di tempo ed hanno dei passaggi obbligati da compiere. Non si può avere tutto e subito e Ventura lo sa bene. Per questo non ha stravolto tutto per quanto riguarda la formazione titolare e l’ossatura portante della squadra, per questo non ha proposto ai suoi calciatori troppe nozioni e troppi schemi, ma si è limitato ad impartire loro pochi, ma ferrei concetti. In questo quadro di insieme che è già molto diverso da quello del recentissimo passato ci sono calciatori che possono ancora crescere, altri che hanno già compiuto progressi significativi ed altri che faticheranno a tenere il passo della rivoluzione. La Salernitana di Ventura è una squadra costruita per giocare senza troppi calcoli e senza freni. E’ una squadra che ha trovato in Jaroszjnski il suo leader morale e che ha nella freschezza di Cicerelli e nella sfrontatezza di Kiyine le armi più importanti con cui colpire gli avversari. Ventura sta procedendo per gradi e si è riservato di inserire a tempo debito il giovane Dziczek nel cuore del centrocampo, dove Di Tacchio sta dando il suo contributo in termini di corsa e di dedizione. L’uomo del rigore decisivo a Venezia è una pedina importante in fase di interdizione, ma non garantisce nella costruzione del gioco l’apporto necessario per sveltire la manovra, per darle ritmo e variazioni sul tema, per non lasciare ai difensori ed ai due esterni la responsabilità di fare gioco. Serve coraggio nel tackle, ma ne serve anche di più per reclamare il pallone, per farsi vedere dai propri compagni ed offrire loro uno scarico ed un riferimento costante. Il capitano sta studiando per diventare il leader della rivoluzione di Ventura perchè, dopo il rigore di Venezia, c’è una storia ancora più intrigante da raccontare. Ma servirà tanto coraggio…
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