Prevedibile e scontato, il rimedio trovato dalla società all’evidente stato di crisi in cui versa la Salernitana è un ritiro all’ombra dei templi di Paestum dove squadra e tecnico potranno lavare in famiglia i panni sporchi, dopo aver provato a ritrovare entusiasmo e serenità col karaoke. Dopo aver cantato nel dopo cena qualche sera fa, pare che Ventura le abbia cantate anche nell’intervallo del match del Tombolato, deluso dalla prestazione della squadra ma, pare, anche irritato da intromissioni velate e non, che fanno parte del copione ben noto. Del resto, un anno fa, sotto Natale, dopo l’ammutinamento registratosi in occasione della sconfitta interna col Brescia, Stefano Colantuono fu indotto alle dimissioni dopo la bruttissima prova di Carpi, con tanto di sussulto finale e di rimonta svanita di un soffio. A Carpi il tecnico laziale rimase in silenzio durante il secondo tempo della gara, con il viso contrito di chi sa di essere stato tradito. A Cittadella, indisposizioni a parte, Ventura ha fatto più o meno la stessa cosa, restando distante, seduto ed in silenzio e derogando al vice, De Patre, la gestione del secondo tempo in cui, ad un certo punto, ha mandato un segnale chiarissimo con la sostituzione tra Di Tacchio, come da troppo tempo in qua si nota completamente schiacciato sulla linea difensiva e per nulla portato a dare ordine e geometrie in fase di impostazione, e Dziczek, ex oggetto misterioso mandato in campo dopo il clamoroso infortunio prepartita con l’Entella. Il passaggio al 4-2-4, il modulo che il tecnico avrebbe voluto proporre a Salerno se solo dal mercato fossero arrivate le pedine richieste, ha regalato quanto meno l’illusione della rimonta. Al di là del risultato finale, però, resta la brutta prova offerta dalla squadra, per più di un’ora soggiogata dal Cittadella e restano i numeri sempre più impietosi ed allarmanti: sei punti in nove gare, in cui ha ottenuto una sola vittoria, indicano la Salernitana come una squadra a forte rischio perchè la classifica è corta, ma il vantaggio sulla zona rossa è minimo ed il trend è fortemente negativo e, dunque, tale da richiedere una presa di coscienza adeguata. Tuttavia, la Salernitana non pare aver trovato rimedi migliori che il silenzio stampa ed il ritiro, mentre sarebbe stato doveroso da parte della proprietà e della dirigenza un atto di responsabilità e di presenza forte come una uscita pubblica per ammettere colpe ben precise e magari provare a scusarsi per l’ennesimo scempio servito ad una piazza ormai sfiduciata, che ha perso entusiasmo e speranza nel futuro, perchè l’andamento in fotocopia di questo campionato, come gli altri, confermano incapacità e/o mancanza di volontà di chi possiede il club e di chi lo gestisce in loco per conto dei patron di esplorare nuovi orizzonti e di proporre un modo diverso di fare calcio. Una chimera bella e buona, questa, perchè il calcio di Lotito, Mezzaroma e Fabiani è questo e lo si può affermare senza tema di essere smentiti perchè da cinque anni la Salernitana non riesce ad emergere dalla mediocrità nel campionato di B, mentre intorno a lei matricole assolute, l’ultima della serie è il Pordenone, non soffrono il salto di categoria e tentano, anzi, il doppio salto sfruttando organizzazione, coesione, entusiasmo, derivanti dalla fresca promozione conseguita. Parole vuote di significato per la triade romana, che governa con calcolo e freddezza la cosa granata all’insegna del più imperiale “divide et impera”, motto perfetto da far valere nei confronti di una colonia, quale è ormai considerata Salerno. La quinta sconfitta di fila in trasferta, l’uscita dal campo di Ventura prima del fischio finale, il suo attendere da solo in aeroporto il volo che lo avrebbe riportato a casa, il desiderio, che pare sia stato confidato a qualche tifoso, di parlare alla città per spiegare alcune cose e che è stato mortificato da uno sterile silenzio stampa, il cui pretesto è stato il gol annullato a Gondo con l’Ascoli, oltre agli errori dei singoli in campo, tutto questo avrebbe meritato qualcosa di diverso. Non c’è amore verso la Salernitana, a cui quest’anno sono stati destinati alcuni prestiti targati Lazio ed un paio di vecchie glorie in cerca della forma di un tempo, e che Ventura ha accettato di guidare con la speranza, la voglia di rivalsa ed anche, forse, un pizzico di presunzione, di poter riuscire laddove i suoi illustri predecessori, perchè Sannino e Colantuono, tanto per fare due nomi, non sono proprio gli ultimi arrivati, non erano riusciti. Perchè la Salernitana, che aveva sfiorato il primo posto solitario in classifica all’inizio di ottobre, sia piombata in una situazione di evidente involuzione tecnica, tattica e mentale dalla gara di Venezia in poi meriterebbe un’analisi approfondita e risposte chiare da parte della società e del tecnico tra cui il feeling sembra già finito e che si consegnano ad una vigilia affilata e tesa della gara di domenica col Crotone che potrebbe essere il capolinea per Gian Piero Ventura, scelto da Lotito in persona, forse più che per il rilancio della Salernitana, per garantirsi un alibi perfetto per l’ennesimo fallimento.
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