CALCIO, UNA RIPARTENZA TRA INTERESSI E DUBBI

Il calcio italiano vuole, forse sarebbe più corretto dire deve ripartire. Pur di ricominciare, dopo oltre un mese e mezzo di stop, il pallone è disposto a consegnarsi ad altri mesi di isolamento volontario, tenendo lontani dalle famiglie non solo i calciatori ma anche tutti coloro che fanno parte dello staff che li accompagna, e quindi tecnici, dirigenti, medici, massaggiatori, magazzinieri e via dicendo. Altro che un ritiro precampionato, sarebbe una vera e propria clausura necessaria per evitare il rischio di nuovi contagi, eventualità che, però, a quanto si apprende, non fermerebbe la macchina. E, di certo, non va trascurato il fatto che i calciatori potrebbero beneficiare di esami e tamponi in maniera continua in barba alle difficoltà che finora tantissima gente ha incontrato per la mancanza degli stessi. Eppure, il calcio è la terza azienda per fatturato in Italia ed è questo uno dei motivi per cui, al di là delle schermaglie tra presidenti, alcuni contrari ma moltissimi favorevoli, il Governo ha aperto all’ipotesi di far riprendere almeno gli allenamenti. Già alle prese con bisogni e rivendicazioni di tanti settori produttivi, Palazzo Chigi vuole evitare che anche il calcio possa alzare bandiera bianca, presentando il conto sotto forma di mancati introiti. Del resto, i club professionistici versano all’erario somme importanti e le perdite accusate potrebbero diventare mancati incassi anche per lo Stato. E, poi, in attesa che la Serie C ed il mondo dilettantistico trovino una quadra, far ripartire la Serie A, in primis, e poi la serie cadetta darebbe ai club la possibilità di non perdere l’ultima tranche dei diritti tv, salvando i contratti in essere con le pay tv che trasmettono i campionati, e significherebbe ridare slancio anche ai giochi, ossia alle scommesse legate al calcio che finanziano anche il movimento olimpico e quel Coni, il cui presidente, Malagò, non ha mai nascosto fastidio ed insofferenza nei confronti della Figc, rispetto alla quale ha una visione diametralmente opposta, rinforzata, in queste ore, dalla presa di posizione del Ministro della Salute, Speranza, che ha detto che ora il calcio non è una priorità. Non proprio un parere in linea con l’atteggiamento del Ministro dello Sport, Spadafora, che da giorni ha aperto al ritorno in campo per gli allenamenti dal 4 maggio. Da una parte, dunque, le legittime riserve di chi non ritiene giusto ripartire o accordare al calcio privilegi in questa fase, dall’altra, gli interessi della Figc e delle Leghe, che hanno trovato una sponda nel Governo, facendo leva anche sulla funzione sociale del calcio che, con le partite tutte in orario preserale e serale, sarebbe anche un diversivo per la gente, costretta a casa per i ben noti motivi, dal lockdown a tutto ciò che ne deriva. La partita è ancora aperta, anche se l’orientamento è quello di giocare da fine maggio. In una situazione ancora così delicata ed incerta, però, non si potrà che vivere alla giornata.

Autore dell'articolo: Nicola Roberto