Fabrizio Castori ha lasciato la sua area tecnica con un obiettivo ben preciso: chiedere conto all’arbitro Irrati del perché mai non avesse concesso alla Salernitana un secondo rigore, apparso ancor più sacrosanto rispetto a quello fischiato pochi minuti prima. Il rimpianto per l’errore di capitan Di Tacchio, che ora fa compagnia a Djuric e Tutino nella saga dei tiratori imprecisi dal dischetto, si alimenta di ulteriori recriminazioni legate a quel penalty non concesso. Castori non ha parlato in sala stampa, così come non ha rilasciato dichiarazioni alcun dirigente granata. Tutto il peso è stato scaricato su Francesco Di Tacchio, già gravato dalla responsabilità e dal senso di colpa per quel rigore che ha voluto calciare e che ha sbagliato. Il capitano era stato fino ad ieri sera infallibile nelle sue esecuzioni dal dischetto in maglia granata e bene ha fatto ad incaricarsi della battuta imponendo ad Anderson, che pure avrebbe voluto sfidare Berisha dal dischetto, la legge della gerarchia. Il giovane vecchio ed il capitano si sono guardati negli occhi il tempo necessario, poi il capitano ha preso quel pallone che pesava tonnellate e lo ha calciato forte, troppo forte. Non la solita esecuzione affilata, rasoterra, all’angolino, ma un colpo secco, ad occhi chiusi, e quel rumore della traversa come un colpo al cuore. Dal rigore di Venezia a quello di ieri è cambiata la prospettiva. Quello del Penzo valeva la salvezza, con il jolly del fallimento del Palermo da giocare, quello di ieri sera valeva l’aggancio al secondo posto e la definitiva ipoteca sui playoff. Non si giudica un calciatore da un rigore e non si può certo condannare Di Tacchio che, anzi, è stato l’unico a prendere la parola dopo. Il capitano ha alzato l’asticella con la stessa determinazione con cui affonda un tackle parlando della serie A come di un traguardo che cambia la vita e, forse, nel rigore fallito ieri ha pesato proprio questo cambio di prospettiva che la squadra granata sta vivendo e che ieri sera, proprio dopo quel rigore e quell’altro negato a distanza di qualche minuto, potrebbe aver definitivamente digerito: lo sapremo già a Cremona. Tuttavia, resta da chiudere il cerchio perché la corsa verso la serie A ha una tara, un’ombra, una remora che né il capitano né l’allenatore possono allontanare. La questione multiproprietà resta lì, sullo sfondo, e nel silenzio dell’Arechi in cui ha rimbombato il suono sinistro di un pallone che ha scheggiato la traversa nessuna parola è stata pronunciata in merito. Mezzaroma e Lotito, impegnatissimi nelle questioni di politica calcistica, sia in Lega A e B sia in Figc, non possono rimandare il momento della verità alla fine del campionato. E’ proprio questo atteggiamento che alimenta dubbi ed avvelena il clima, togliendo a tanti tifosi il gusto di appassionarsi ed anche di disperarsi per un rigore sbagliato o uno non concesso. E’ una questione che va oltre gli aspetti tecnici, perché attiene alla sfera emozionale ed affettiva di ogni tifoso. Sognare la promozione, crederci anche, e più che mai ora il campo inviterebbe a farlo,comporta un coinvolgimento emotivo di cui chi ha le chiavi del vapore deve tenere conto. Chiarezza ed onestà intellettuale sono più che mai d’obbligo da parte dei patron. Non si può aspettare giugno per sapere se le dodici partite che restano avranno avuto un senso diverso rispetto al passato.
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