Il gol all’Olimpico, la corsa sotto il settore ospiti, l’inizio della rimonta salvezza è tutto lì. Un bolide all’incrocio, quella esultanza da leader, il segnale che la riscossa non sarebbe tardata ad arrivare. Una promessa, se vogliamo, mantenuta la notte folle del 22 maggio 2022 con quel giro di campo brandendo un fumogeno granata per festeggiare la salvezza. Ivan Radovanovic ha giocato in tutto 24 partite con la maglia della Salernitana, ma è stato per i tifosi granata un punto di riferimento. Califfo della difesa, leader del gruppo, trascinatore nei momenti importanti anche al di là delle difficoltà fisiche che ne hanno limitato l’apporto. E’ legittimo che, arrivato ad un certo punto, il percorso di un calciatore e quello di un club possano dividersi. Radovanovic non era stato certo lasciato a piedi dalla Salernitana che aveva trovato l’accordo col Cagliari, pronto a sfruttare l’esperienza del serbo per un’altra rimonta, quella verso le zone alte della classifica cadetta. Radovanovic ha detto no, pur essendo assistito da quel Federico Pastorello che è un agente molto vicino a De Sanctis e con cui il presidente Iervolino ha pubblicamente dichiarato di avere una certa sintonia. Insomma, Radovanovic ha scelto di privilegiare le ragioni legittime della famiglia rispetto a tutto il resto e, dopo la fine del mercato, ha avuto un confronto che non sarà stato certo sereno con la dirigenza, se è vero che, nell’avviare un procedimento nei suoi confronti dinanzi al Collegio Arbitrale della Lega, la Salernitana aveva specificato che tra le ragioni dello stesso vi fosse un’insubordinazione nei confronti di un dirigente. Ieri è arrivata la rescissione che potrebbe consentire all’ex Genoa di trovare squadra nei mercati ancora aperti. Si vedrà. Il punto è che l’addio burrascoso di Radovanovic ha aperto un vulnus, una ferita, nel cuore della tifoseria che si identificava nel calciatore per l’esultanza salvezza ed anche per quell’essere leader che aveva manifestato anche in altre occasioni. Un addio nasconde sempre responsabilità da ambo le parti, ma il caso Radovanovic non è il solo. Sul finire del mercato c’è stato quello di Simone Verdi, trattato dal presidente mentre il direttore sportivo aveva puntato su altri profili. Saltata la trattativa, a bocce ferme, c’era stato il pesante attacco dell’agente del calciatore nei confronti di De Sanctis a cui la società non ha fatto subito seguire una nota per dare la sua versione e difendere un suo tesserato. Eppure, proprio il presidente Iervolino, in occasione della conferenza stampa tenuta per spiegare le ragioni del reintegro di Nicola, aveva ammesso che avrebbe dovuto difendere di più il giovane direttore sportivo, da lui scelto per dare al ruolo in questione una interpretazione diversa rispetto al totem Sabatini. Al di là delle rassicurazioni e delle parole anche amare e risentite del patron, è innegabile che all’interno della Salernitana il clima non sia dei più distesi e sereni e ciò si ripercuote anche sul rendimento altalenante della squadra, che avrebbe bisogno di punti di riferimento certi e riconosciuti. Di una guida forte, autorevole. Gli screzi tra diesse ed allenatore, il clamoroso dietrofront presidenziale sull’esonero post Bergamo, hanno ulteriormente contribuito a creare una situazione non certo ideale per il gruppo che è composto da tante individualità, ognuna delle quali ha una testa e degli obiettivi personali da raggiungere. La Salernitana solo a tratti è stata un blocco unico e, quando è accaduto, ha raccolto risultati importanti. La società ha via via perso anche appeal nei confronti dei tifosi, non riuscendo più a far breccia come in passato sotto l’aspetto empatico, emozionale, affettivo. C’è meno dialogo e anche una minore volontà di aprirsi all’esterno. Sotto questo aspetto si sconta ancora il trauma dell’addio improvviso con Sabatini. Ora si è consumato, in circostanze non meno burrascose, quello con Radovanovic. Nel calcio e nella vita sono cose che capitano. Per non creare disorientamento tra i tifosi e non dare adito a polemiche nocive, si potrebbe tornare a parlare più apertamente alla gente. Non perché si debba sempre e comunque spiegare e rendere conto, ma proprio per alimentare un rapporto di amore e fidelizzazione a cui qualche duro colpo lo si è dato anche con la politica dei prezzi di biglietti ed abbonamenti. Non basta una maglia speciale per San Valentino per far innamorare i tifosi che sono e restano innamorati ma che, proprio in quanto tali, hanno bisogno sempre di attenzioni. Non è perdere una partita, ma perdere l’amore della gente la vera sconfitta per una società. I programmi futuri sono sicuramente importanti, ma tutto passa anche e soprattutto per il rapporto con la gente.
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