Aveva promesso che avrebbe parlato tanto con i giornalisti e con i tifosi, riconoscendo la particolarità di una società di calcio che è sì privata ma al tempo stesso ha un interesse pubblico enorme. Danilo Iervolino si era presentato come l’uomo della svolta, come il presidente capace di ascoltare, spiegare ed innovare. Un visionario, un rivoluzionario, un innovatore sempre attento alla comunicazione ed all’immagine, pronto a stabilire un rapporto osmotico con la città e a siglare quel sinallagma d’amore con la tifoseria che sembrava potesse durare a lungo. E’ bastato un campionato andato nel verso sbagliato per sconfessare tutti questi propositi. Il presidente s’è chiuso in un silenzio che assomiglia ad un grido assordante. Il calcio lo ha deluso, forse anche tradito, ma, del resto, per cambiare le vecchie abitudini ci vuole tempo e, a volte, basta solo dare l’esempio. Avesse programmato passo dopo passo la crescita della Salernitana, avesse tracciato una riconoscibile linea lungo la quale portare avanti un progetto ben definito, probabilmente Iervolino si sarebbe imposto in virtù dei risultati raggiunti e con la forza di questi avrebbe potuto anche dettare una linea nei salotti e nei palazzi del calcio italiano. Ha scelto altre strade, invece, come il vincolo con Petrucci, espressione di un modo di intendere la politica sportiva non certo moderno ed innovativo. E’ rimasto scottato alla fine ed ha riversato questa sua delusione anche sulla Salernitana, una creatura che quasi non sente più sua e di cui si sarebbe volentieri disfatto qualora avesse trovato un acquirente affidabile. E’ un silenzio che fa rumore quello in cui si è trincerato Iervolino, anche perché non c’è nessuna figura societaria deputata a parlare in questa fase per poter dare notizie alla piazza. Tutto tace, anzi tutto si sta facendo nel più rigoroso silenzio. Iervolino potrebbe restare ma in posizione defilata senza più essere coinvolto anche a livello emotivo nella vita del club. La retrocessione ingloriosa è una macchia difficile da lavare e per uno che ha costruito un’immagine di vincente è qualcosa di inaccettabile. Del resto, sarebbe bastato chiedere scusa e rilanciare subito dopo la sconfitta di Frosinone con cui era stata sancita la retrocessione anche dal punto di vista aritmetico. Il silenzio, invece, testimonia questa difficoltà ad accettare una certa realtà e la presa di distanza è reazione tipica di chi non vuole essere associato ad una sconfitta. Di certo, ai tifosi, che hanno sofferto più di tutti, sarebbe bastato ascoltare o leggere parole di conforto, già proiettate verso il futuro. Non c’è stato nulla di tutto ciò ed è questo che colpisce maggiormente. C’era una volta un presidente che amava comunicare ed essere trasparente. Oggi c’è un muro di silenzio e mistero.
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