In attesa dell’udienza per l’estradizione, calendarizzata per venerdì primo aprile, il 39enne algerino Djamal Eddine Ouali, arrestato dalla Digos di Salerno nella giornata di sabato sulla base di un mandato di cattura internazionale della magistratura del Belgio con l’accusa di aver fornito falsi documenti agli attentatori di Bruxelles, rinchiuso nel carcere di Fuorni prega e proclama la propria innocenza: “Non sono un terrorista – ripete – non so nulla di terrorismo e neppure di documenti falsi”. Il suo legale di fiducia, Gerardo Cembalo, aspetta di leggere gli atti in arrivo dal Belgio e tradotti in italiano per decidere la linea di difesa sulla richiesta di estradizione avanzata da Bruxelles ed intanto prova a chiarire fatti e circostanze contestate al suo assistito. La questura di Salerno, intanto, in risposta ad alcune obiezioni mosse nelle ultime ore, esclude che possa trattarsi di un furto d’identità. Il nome Ouali era stato annotato dalle autorità belghe all’esito di perquisizioni effettuate nell’ottobre 2015 in un covo di falsari a Saint-Gilles, un sobborgo di Bruxelles, dove erano state sequestrate centinaia e centinaia di immagini digitalizzate riferibili a falsi documenti d’identità. Tra queste, quelle di Salah Abdeslam, Mohamed Belkaid e Naijm Laachraoui, tra gli autori degli attentati di Parigi. Appena è emerso un possibile collegamento con le indagini condotte a Bruxelles, la questura di Salerno ha inviato la foto dell’uomo ricevendo dopo pochi giorni la conferma che si trattava proprio di uno dei ricercati. Il 40enne di Obejaia sarebbe entrato in Italia ai primi di gennaio, a bordo di un’automobile e in compagnia della moglie incinta. Sarebbe passato dal Brennero. Non aveva documenti comunitari ed era in possesso solo di un attestato di identità rilasciato dall’ambasciata algerina. Quando ha presentato la domanda di permesso di soggiorno temporaneo, ha compilato la richiesta con il nome per cui era ricercato in Belgio. Un’ingenuità clamorosa per un uomo in fuga dall’accusa di essere un fiancheggiatore dei terroristi. Per questo è assai probabile la tesi secondo la quale Ouali ignorasse di essere ricercato. Nel suo soggiorno salernitano Ouali condivideva l’abitazione con un marocchino Mustafà El Melik, sposato con un’italiana, ben radicato sul territorio, cognato di uno dei responsabili della Moschea di Bellizzi. E sarebbe stato proprio El Melik a far scattare il meccanismo che ha poi portato all’arresto: avrebbe preso casa con Djamal Ouali, facendo poi alla Questura la prevista «dichiarazione di ospitalità». Mustafà non è a Montecorvino: lavora nel commercio e quindi è spesso lontano. Ma è probabile che nelle prossime ore gli inquirenti vogliano ascoltarlo. Per ora hanno setacciato la casa di via Calabritto. Nessuno si sbilancia nemmeno sulla sorte toccata alla moglie: qualcuno racconta di averla vista ancora in paese dopo l’arresto del marito, altri la danno per dispersa. Tutti la descrivono come una persona discreta e riservata. Da Bruxelles, però, insistono “È stato lui – dicono – a creare le identità false degli autori delle stragi”.
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