Il giorno dopo l’inchiesta che ha portato in carcere otto persone con l’accusa di gestire lo spaccio di droga nei quartieri della zona orientale di Salerno ma anche nel carcere, emergono alcuni dettagli dell’indagine che ha visto al lavoro i carabinieri del reparto investigativo. Il linguaggio in primo luogo usato dall’associazine. La droga era chiamata magliette, bollette ed anche braciole, polpette o caramelle, in questo ultimo caso 27 delle quali vendute a 870 euro tanto per confermare che era il linguaggio criptico utilizzato per parlare di droga negli scambi commerciali dall’associazione sgominata ieri dall’inchiesta del nucleo investigativo dei carabinieri di Salerno. L’indagine ha messo fine al gruppo capeggiato da Antonio Abate con l’accusa di gestire lo spaccio di droga nei quartieri della zona orientale di Salerno, Mercatello ma anche il Q4 e all’interno della casa circondariale di Fuorni. L’inchiesta documenta diverse cessioni di sostanza stupefacente, i costi, dai 25 euro ai 30 per una dose di crack, e individua con precisione i ruoli di ognuno tra gli otto arrestati dai carabinieri nell’ambito dell’inchiesta che ha visto il lavoro la procura della Repubblica di Salerno, guidata da Giuseppe Borrelli. È chiaro il ruolo di Antonio Abate che viene anche invitato da un fornitore di droga ad assaggiare la droga e ad acquistarla solo se di suo gradimento. “Sono rimasto a piedi” era la frase che il capo utilizzava per dire ai fornitori che aveva bisogno di nuovi quantitativi di droga. Ed anche le minacce dietro mancati pagamenti come quella di prendersi un’automobile. Per quanto riguarda le cessioni all’interno del carcere di Salerno, un ruolo fondamentale è stato svolto dal detenuto Antonio Memoli che riusciva a far entrare droga attraverso la concessione di permessi premi. Il 27 ottobre del 2020 lo stesso, di rientro dopo un permesso, durante una perquisizione, fu trovato in possesso di un involucro di hashish occultato nel retto. Altra figura di rilievo nell’ambito dell’ingresso della droga all’interno del carcere era anche quella di Giovanni Carlo Casciano, proprietario di un pub a Salerno ma anche partecipe al progetto Ricuciamo, un’iniziativa sociale per far realizzare mascherine antico covid ai detenuti. Anche in questo caso, in un’operazione di controllo il 24 novembre del 2020 Casciano fu trovato in possesso di 50 g di hashish in un involucro di cellophane occultato negli slip. Nelle intercettazioni, i carabinieri hanno rilevato anche una sorta di gelosia tra Memoli e Casciano con il detenuto che accusa il gestore del pub di essersi allargato e di essersi messo a disposizione anche di altri carcerati per fare da corriere.” Mi fa buttare i cupptiell appresso, il primato lo devo avere solo io” dice Memoli minacciando il rivale di “schiattargli la testa” e costringendo il capo, Abate, ad intervenire chiedendo a Casciano di fare il bravo.
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