Sono passati venti anni. Il 10 maggio del 1998 la Salernitana tornava in massima serie dopo mezzo secolo. In quei giorni Salerno viveva due sentimenti diametralmente contrapposti. Da una parte la gioia composta per la promozione della truppa di Rossilandia, dall’altra il dolore atroce per le vittime dell’alluvione di Sarno, Siano e Bracigliano che si era consumata pochi giorni prima. Il pareggio ad occhiali con il Venezia in un’Arechi pieno come un uovo, ma composto per rispetto alle vittime portò quel punto che serviva per l’aritmetica promozione in serie A. Impossibile dimenticare il lutto. Impossibile conciliarlo con la felicità sportiva di una città che aspettava quel giorno da 50 anni. La Salerno sportiva ci provò e probabilmente riuscì, perché “una grande gioia non potrà mai cancellare un forte dolore”. Lo striscione esposto in Curva Sud.
Lo 0-0 coi lagunari di Novellino, i ragazzini coi capelli tinti di granata, imitati poi dai calciatori stessi. Striscioni e stendardi in città, nastri e scritte ovunque, il palazzo di fronte al Vestuti con le gigantografie dei protagonisti: dalle 37 presenze (con 4 gol) di Roberto Breda alle 21 reti del capocannoniere, Marco Di Vaio. In panchina c’era Delio Rossi. Il “profeta” qualche anno fa si augurava che a Salerno si parlasse di “presente e futuro, non più solo di passato. Ma il legame con la città è indissolubile, lì è nata mia figlia nel ‘98. Fa piacere aver lasciato qualcosa di importante, dopo essere arrivato la prima volta in punta di piedi”. Roberto Breda era e resta una bandiera della salernitana, il secondo recordman, dopo Luca Fusco, per presenze con la maglia granata. Oggi allena il Perugia ed è in piena corsa per riacciuffare proprio la serie A con il Grifo, anche se dalla porta di servizio dei playoff. Quella Salernitana era fatta di bandiere, stelle, gregari e… portieri. Tutti uniti verso un unico obiettivo. Dal numero uno Balli al bomber Marco Di Vaio, acquistato e rigenerato dopo una stagione anonima a Bari. Ma anche Edoardo Artistico, la sua spalla ideale che contribuì alla cavalcata con 12 gol pesanti e chissà se fosse rimasto anche in massima serie. In quella Salernitana c’erano anche due giovanissimi… salernitani. Luca Fusco e Ciro De Cesare che poi avrebbero ancora vestito a lungo e a più riprese la maglia granata. Ed ancora Cudini, Tosto, Galeoto, Ferrara, Del Grosso, Franceschini, i fratelli Tedesco, Rachini, Greco, Ricchetti, Kolousek, Ivan, Fini, Napolioni. Alla guida del club Aniello Aliberti: in cabina di regia, nel costruire la squadra che ha fatto la storia, ui consigli di Imborgia, Peppino Pavone e Giuseppe Cannella. Nel cast anche il segretario Diodato Abagnara, il dottore Pino Palumbo, i compianti dirigenti Pietro Mennea e Nino Vita, il massaggiatore Bellofiore, lo storico magazziniere De Santo, il vice di Rossi, Vincenzo Marino ed il mister dei portieri, Gigi Genovese, unico superstite nella Salernitana attuale. Questi i cavalieri che fecero l’impresa. Cavalieri di un tempo in un tempio, l’Arechi che non aspetta altro che essere restaurato e consacrato per nuovi spettacoli di massima serie…