Quella cominciata da qualche settimana è la decima stagione di Lotito e Mezzaroma come proprietari della Salernitana. Dal primo anno, quello del Salerno Calcio, concluso con la promozione in Seconda Divisione in un Arechi vestito a festa per la gara decisiva col Monterotondo ad oggi tanta acqua è passata sotto i ponti. Il rapporto tra i due cognati e Salerno non è mai stato facile, ma è sempre stato caratterizzato dal dialogo. Lotito era solito precipitarsi a Salerno per tenere a rapporto la squadra e parlare ai tifosi già ai tempi della serie D, senza sottrarsi al confronto, anche acceso con la piazza. Impossibilitato ad essere presente nel quotidiano, il patron della Lazio cercava di trasmettere carica e determinazione per centrare un obiettivo, cioè la promozione. Fino al momento dell’approdo in serie B, pur con qualche passaggio a vuoto, la proprietà romana ha portato a casa il risultato, riuscendo in breve tempo a riportare Salerno nel calcio che conta. Siamo, però, all’alba della sesta stagione di fila tra i cadetti che, al di là delle questioni storiche e statistiche, non attribuisce punti, non compensa delusioni, offese, incomprensioni, omissioni che pure si sono innegabilmente succedute in questi anni ed il punto dolente resta proprio questo: perchè dal 2015 in poi la proprietà sembra quasi far finta di niente, sposta il tiro, non mette a fuoco le vere richieste della piazza? Volendo banalizzare la questione, si potrebbe dire che la tifoseria salernitana chiede la serie A. In realtà, la situazione meriterebbe una riflessione molto più ampia e profonda ed è su questo punto che la proprietà sta vendendo incredibilmente meno: le Noif sono una realtà inconfutabile, restano il grande scoglio invalicabile o, per essere più precisi, dinanzi al quale si tende a non presentarsi. Lo dicono i risultati degli ultimi cinque campionati: la Salernitana non ha mai lottato per la promozione diretta e non si è mai qualificata per i playoff. Possibile mai che una proprietà così forte, che nelle categorie inferiori ha vinto a mani basse quasi senza sforzo, non sia in grado di allestire una squadra di buon livello per il campionato cadetto? Manca qualcosa, come nella nota storia della minestra e dell’acino di sale, che non è solo un ingrediente tecnico, ma qualcosa di diverso che si potrebbe, forse semplicisticamente, indicare nella volontà di raggiungere un obiettivo. Il Lotito furente e battagliero che piombava all’Arechi o al Dirceu di Eboli per strigliare la squadra ha da tempo lasciato il posto ad un patron distaccato, lontano fisicamente e, forse, anche mentalmente, dalla realtà di Salerno. Da quasi venti anni alla guida della Lazio, da dieci circa impegnato con suo cognato nell’esperienza salernitana, Lotito sembra aver allargato ancora i suoi orizzonti ed interessi che ora includono anche la politica. Questa decima stagione granata per i due patron rischia di essere consumata tra indifferenza e solitudine, scenario triste, avvilente, ma quanto mai plausibile alla luce delle prese di posizione della proprietà che continua a rimanere in silenzio e a delegare la gestione corrente ad un management che si caratterizza per la sua tendenza a dividere e a sottrarsi al confronto. A chi gioverebbe uno scenario del genere non è dato saperlo. Di certo, non alla Salernitana, intesa come entità in senso assoluto, staccata dalle figure che in questo momento la rappresentano. Ed è a questo interrogativo che i patron dovrebbero rispondere per poi affrontare con serenità e chiarezza la questione Noif ed infine le cose del campo.
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