Nonostante tutto, i circa duemila cuori granata presenti al Vigorito hanno cantato anche dopo il triplice fischio, non negando neanche un applauso di incoraggiamento ai calciatori che si erano recati a salutarli sotto la curva. Almeno sotto questo aspetto, va detto che al gruppo granata non siano mancati coraggio e personalità che, invece, sono ancora una volta venuti in meno in avvio di gara. Il derby nel giorno di San Matteo, programmato sul campo di una delle grandi favorite per la promozione, avrebbe richiesto di sicuro un altro risultato, ma, visto che non tutte le ciambelle riescono col buco, avrebbe imposto quanto meno un altro approccio sotto l’aspetto mentale e tattico. Troppo bloccata e schiacciata, la Salernitana s’è consegnata all’avversario, che non chiedeva altro che poter dettare i tempi del gioco per sfruttare la sua qualità che ieri è stata superiore in tutte le zone del campo. Il tridente di Bucchi ha spaventato Colantuono che ha scelto un atteggiamento tattico di attesa, isolando troppo Djuric, generoso ma improduttivo perchè non ha, non lo ha mai avuto, il gol nel sangue, ed ancor meno incisivo visto che Jallow è rimasto troppo spesso distante ed i centrocampisti, costretti a fare i tergicristalli per arginare il veloce giro palla sannita, non hanno avuto forza e tempo per accorciare. Regalato un gol ed un tempo agli avversari, che hanno strameritato la vittoria, la Salernitana ha provato a ridestarsi nella ripresa, scossa dalla botta alla testa che ha costretto Anderson ad una notte in ospedale e dall’ingresso di Di Gennaro che ha provato a dare qualità e fantasia dalla trequarti in su, ma senza cavare un ragno dal buco. Subito il secondo gol ad opera dell’ex Improta, che ha concluso di esterno destro un’azione di rimessa partita da un corner in favore dei granata, la Salernitana è scomparsa dal campo, concedendo passerella e gloria anche a due subentrati giallorossi, Insigne ed Asencio, ed incassando un mortificante poker che ha lo stesso effetto del tris servito al Padova perchè non cambia di una virgola la realtà dei fatti: squadra allestita a più riprese, senza ancora una precisa identità, con diversi calciatori chiave in ritardo di condizione, con la falla cronica sulla corsia sinistra e con quella che si spera non sia una voragine rappresentata dalla mancanza di un goleador puro, di razza, uno, cioè, che viva per il gol, sia attratto dalla porta avversaria e non le giri sempre troppo alla larga. Le lacune sono state evidenziate in tempi non sospetti, la società ha passato la palla all’allenatore che, a sua volta, non ha gestito sempre le situazioni con l’esperienza e la sagacia che per i suoi trascorsi gli vengono riconosciute e che ora è atteso da giorni delicati. La squadra preparerà in ritiro la gara di martedì sera con l’Ascoli all’Arechi dalla quale è lecito aspettarsi tutta un’altra prestazione per poter poi affrontare con più serenità e consapevolezza l’altra gara interna, in programma tra sette giorni esatti col Verona. Se una sconfitta può servire, allora che quella di ieri a Benevento possa essere proficua per il futuro. Per far festa a San Matteo, però, bisognerà aspettare un’altra occasione.
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