Dall’alto della sua esperienza non avrà mai pensato il contrario, ma domenica scorsa, durante la sfida con la Lazio, ha provato a fare anche da solo per dare una scossa alla squadra. Da uomo assist a stoccatore: solo i legni hanno fermato la furia e l’orgoglio di Franck Ribery, uscito dagli spogliatoi dell’Olimpico con il sacro fuoco dentro, ardente ancor più del solito dopo aver arringato e strigliato i compagni. Gli errori fanno parte del gioco, ma la paura non è ammessa. Non ne ha mai avuto Fr7 che ha affrontato ben altre prove nella sua vita che una semplice partita di calcio giocata in casa di una Lazio forte sì, ma non stellare come ai tempi di Cragnotti in cui si vinceva e si gettavano le basi per il ben noto crack. Ribery ha scosso la squadra, come avrebbe potuto fare un presidente, semmai la Salernitana ne avesse uno, o un dirigente carismatico, anche sotto questo aspetto se ne avverte la mancanza visto e considerato che chi c’è ora, a vario titolo, ha un mandato in scadenza a dicembre con l’estinzione sempre più auspicata e necessaria del trust. Forse, Ribery ha parlato anche al posto dell’allenatore. Colantuono sta cercando di cambiare la mentalità della squadra ed ha l’esperienza e l’intelligenza per capire che, alle volte, un fuoriclasse deve prendere in mano la situazione non solo in campo. Si può perdere, chissà, forse, anche retrocedere, perché al momento il verdetto del campo sarebbe in linea con le generali previsioni dei bookmakers, ma non con gli occhi pieni di paura e senza averci provato. Ci sono calciatori nelle fila granata che quasi non vogliono la palla nei piedi, altri che faticano a liberarsene con la velocità e la precisione che è richiesta in massima serie, specie in alcune zone del campo, altri che, a loro volta, sembrano quasi passeggeri distratti, estranei al gruppo ed alla questione salvezza. Le sostituzioni operate da Colantuono sono andate in una direzione ben precisa e non è un caso che, dopo l’intervallo, la Salernitana si sia resa subito pericolosa con il neo entrato Djuric. Lo stato postato sui social dopo la partita da Ribery, una faccina arrabbiata su sfondo nero, rendeva bene l’idea dello stato d’animo di un campione che da non solo non può bastare per centrare l’impresa salvezza. Sì, perché la salvezza per questa Salernitana sarebbe un’impresa come e più della promozione diretta dello scorso anno, per nulla programmata e sicuramente sorprendente per il valore complessivo della rosa di Castori, eppure strameritata sul campo. Tuttavia, se solo in tre partite su undici si è fatto risultato, se si sono subiti ventisei gol e se la distanza in classifica da Spezia e Venezia, due squadre che molti in maniera ottimistica ritenevano inferiori alla Salernitana, è di quattro e cinque punti, ci sono tutti gli elementi per rendersi conto che ciò che è stato fatto finora non basti. Eppure, l’impegno c’è, ma la resa non sempre è pari alla spesa energetica. Questione di qualità complessiva, di mentalità, di conoscenza del campionato, ma anche e soprattutto di un mercato fatto male che nemmeno l’avvento a tempo scaduto di Ribery è servito a salvare da un giudizio complessivamente negativo. E il trust c’entra, ma fino ad un certo punto. Come si è stati in grado di piazzare il colpo Ribery, si poteva provare a piazzare altri, magari spendendo bene le <