Il declino dell’università italiana ha sicuramente origini molto lontane, ma è proprio nel corso degli ultimi anni che il divario con gli altri Paesi industrializzati si è enormemente ampliato. Il confronto con gli altri stati membri dell’OCSE appare impietoso: l’Italia si trova infatti tra le ultime posizioni sia per quanto riguarda il numero di laureati in rapporto alla popolazione complessiva (meno del 20%), sia per quanto riguarda i fondi destinati ad Università e Ricerca. Proprio quest’ultimo dato appare particolarmente allarmante: in Italia, la spesa pubblica destinata all’università rappresenta appena lo 0,9% del PIL, e quindi meno della metà rispetto ai Paesi europei più virtuosi; d’altronde, durante gli anni più difficili della crisi economica (ed in misura minore anche nel periodo precedente), i governi hanno effettuato pesanti tagli proprio a questo settore per sopperire alla mancanza di risorse economiche. La scarsità di fondi a disposizione si riflette inevitabilmente sul numero di immatricolazioni, che dal 2008 ad oggi è calato a livello nazionale del 20%, ossia di 66.000 unità. Se gli ultimi governi hanno una forte responsabilità sulla crisi dell’università italiana, non vanno comunque taciute le colpe tanto degli enti locali quanto degli atenei stessi, spesso del tutto incapaci di rinnovarsi e migliorarsi, nonché di gestire in maniera ottimale i pochi fondi disponibili: in molti casi, le lezioni si tengono in aule sovraffollate, i laboratori sono privi di strumenti idonei e le infrastrutture risultano addirittura inagibili. Così come in altri ambiti, anche in questo caso ci troviamo di fronte ad un’Italia ‘a due velocità’: se da un lato nelle università del Nord il calo di iscritti risulta contenuto, è invece nel Mezzogiorno che la situazione appare particolarmente drammatica. Molti atenei del Sud Italia, nel corso degli ultimi 10 anni, hanno infatti visto il numero di immatricolazioni calare di quasi il 40%, e la situazione peggiore è quella che interessa le università della Sicilia e della Campania; un vero e proprio paradosso, considerando che si tratta di alcuni fra gli atenei più antichi al mondo! In ogni caso, il calo di immatricolazioni non è dovuto esclusivamente ai minori fondi a disposizione dell’università, ma in buona parte anche al sorprendente successo degli atenei telematici, ai quali di anno in anno si iscrivono invece sempre più italiani. L’offerta formativa è ormai decisamente ampia: gli istituti più prestigiosi, come Unicusano, propongono oggi decine di diversi corsi di laurea online. La peculiarità delle università telematiche è quella di permettere agli studenti di assistere alle lezioni direttamente da casa (o da qualunque altro luogo) ed in qualunque momento della giornata, attraverso un computer ed una connessione ad internet. Ciò va incontro alle esigenze sia di chi lavora (e non può quindi recarsi quotidianamente in facoltà), sia di chi vive in zone prive di facoltà che corrispondano ai propri interessi. D’altronde, iscriversi ad un’università telematica risulta semplicemente meno stressante.
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