Sono trascorsi meno di due mesi da quando Claudio Lotito presentò ufficialmente Gian Piero Ventura alla stampa. Dall’undici luglio ad oggi, per il tecnico genovese è stata una vera e propria full immersion nell’universo granata. Due mesi scarsi vissuti intensamente, in cui l’ex ct ha dovuto ricostruire, facendosi largo tra le macerie della stagione precedente ma più in generale di un quadrienno cadetto in cui si era costruito poco e quel poco era sempre stato distrutto, abbattuto, cancellato. Colpi di spugna a ripetizione, come se l’imperativo non fosse, appunto, edificare, programmare, ma solo ed unicamente ricominciare, magari anche più volte all’interno di una stessa stagione. E questo per una società, per un presidente, per un dirigente di punta della stessa sono sconfitte incontestabili. Non è vero che nessuno abbia perso in questi anni, anzi. Non è vero che la Salernitana solo adesso si sia attestata in serie B. Lo ha fatto ora perchè è dovuta ripartire dalle ceneri di un fallimento datato 2011, ma in realtà delineatosi già nelle stagioni precedenti, quelle in cui non si era badato a spese pur di vincere in C. Gian Piero Ventura ha capito subito che bisognava ricostruire laddove si era semplicemente abituati a ripartire con facce diverse ma con metodi sempre uguali, accettati dalla proprietà che, dopo i playout col Venezia, ha voluto cambiare rotta affidando la barca granata ad un trainer capace di dare una impronta in campo e fuori, bravo a valorizzare il parco calciatori a sua disposizione nel quale ci sono sei calciatori in prestito dalla Lazio ed uno dal Genoa. Ventura ha conquistato i tifosi con messaggi chiari e forti perchè semplici ed immediati e perchè le parole si sono subito tramutate in fatti. Non sono state le due vittorie di fila quanto le prestazioni ad aver riacceso un minimo di entusiasmo in una piazza depressa e mortificata, ma sempre calda ed appassionata. Ed infatti la differenza sostanziale tra Salerno ed altre realtà è tutta qui. Molti club curano, a ragione, i bilanci e badano a realizzare le ormai famigerate plusvalenze e molti allenatori, quando espongono il loro curriculum, ribadiscono che hanno ottenuto risultati anche in questi termini, lanciando calciatori che hanno portato in dote ai club di appartenenza ricavi importanti. Premesso che bisogna distinguere tra plusvalenze e plusvalenze, perchè un conto è cedere Sprocati o Casasola alla Lazio, un altro è scovare un giovane nelle serie inferiori e cederlo ad un altro club, ci sarebbe poi un altro discorso da fare. Ci sono società specializzatesi nella valorizzazione dei giovani, come il Cittadella, che si autofinanziano in questo modo ma che non hanno l’obbligo di centrare un risultato sportivo di primo piano e ce ne sono altre che non dovrebbero trascurare anche il risvolto strettamente legato al campo. La Salernitana, a nostro sommesso avviso, potrebbe rientrare nel novero delle squadre che potrebbero puntare a coniugare risultati economici e sportivi. Ventura è l’uomo giusto per ridare entusiasmo, orgoglio, dignità ad una piazza che vuole vedere una squadra capace di giocare, divertire, ma anche vincere. Ed è qui che il circuito si interrompe e non diventa più virtuoso. La passione e l’entusiasmo di Salerno, sopiti, magari, ma non certo fuori tempo, e la voglia di riscatto e la indubbia competenza che contraddistinguono Ventura avrebbero potuto fondersi in un matrimonio ideale se solo la società avesse dato prova inoppugnabile delle sue intenzioni. D’accordo le plusvalenze, d’accordo il bel gioco, ma Salerno merita uno sforzo in più in termini di chiarezza e di volontà di centrare determinati obiettivi. Allora sì che mister libidine potrebbe davvero dare il meglio di sé…
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